Sindacato

LA POLITICA NAZIONALE IMPEGNATA NEI SELFIS E L’ITALIA MUORE PER MANCANZA DI LAVORO

Da febbraio 2020 a febbraio 2021, In Italia si sono persi 945 mila posti di lavoro, di cui 600 mila lavoratori dipendenti e 345 mila lavoratori autonomi. Un altro milione di lavoratori non sono stati licenziati per il blocco imposto dal Governo e non si conosce ancora quante attività reggeranno all’apertura delle stesse e quale sarà il loro destino occupazionale. I più penalizzati dalla pandemia sul piano lavorativo sono stati le donne e giovani, ma anche i tanti cinquantenni che hanno perso il posto di lavoro e difficilmente rientreranno nel ciclo produttivo in mancanza di specifiche politiche attive per il reinserimento occupazionale. Il dramma più forte lo vive il Sud dove, a fronte di una disoccupazione nazionale del 10,2, ci sono realtà territoriali che superano il 30%; percentuali drammatiche che sono il frutto della precedente desertificazione industriale e delle politiche assistenzialiste messe in campo dagli ultimi Governi.   Nell’attuale situazione economica ed occupazionale, insistiamo nel sostenere che l’Italia rinasce con il lavoro. Per questo, bisogna ripartire da nuove e più incisive politiche attive per il lavoro che puntino su: sgravi fiscali, istruzione, formazione e riqualificazione, ricollocamento al lavoro degli ultracinquantenni, migliore occupabilità di donne e giovani. La decontribuzione e la fiscalità di vantaggio nel Sud. La principale problematica che va affrontata per incrementare i livelli occupazionali in Italia e, particolarmente, nel Sud, è quella della riduzione dei costi del lavoro. Al fine di incentivare le nuove assunzioni, occorre procedere alla decontribuzione per i lavoratori ultracinquantenni, per le donne e per i giovani, di almeno il 50% e a tempo indeterminato. Bisogna mettere a sistema l’istruzione e la formazione per avviare i giovani al lavoro. E’ fondamentale collegare il mondo della scuola con quello della formazione per aumentare l’occupabilità dei giovani.  Occorre rilanciare i percorsi didattici degli Istituti professionali e prevedere, nell’ambito dei loro programmi, ore di attività di formazione, presso centri di formazione regionale e nella modalità dell’apprendistato,  per l’acquisizione delle competenze relative ai vecchi mestieri artigianali, sempre più abbandonati ma sempre più richiesti dal mercato. Occorre, inoltre, rafforzare i programmi didattici dei Licei scientifici per renderli più attrattivi e favorire l’incremento di percorsi di istruzione scientifici, dalla scuola all’Università, al fine di allargare l’attuale platea delle competenze in materia. Occorre rilanciare le politiche formative, attribuite alla competenza delle Regioni, per puntare allo sviluppo delle vecchie e delle nuove competenze, particolarmente nel settore tecnico, dell’informatica e del digitale.

Salvatore Ronghi